Cosa si nasconde dietro una “crisi” o un “fallimento” di un’adozione? Per capirlo il Centro regionale di documentazione per l’infanzia e l’adolescenza ha portato avanti un’indagine su un campione di casi per i quali i servizi sociali toscani si sono attivati (oltre il normale iter post-adottivo) alla data del 31 dicembre 2014. Si tratta di 212 situazioni, di cui 114 sono rientrate nello studio. Tra questi ci sono anche quei casi in cui si sono manifestate difficoltà nella relazione genitori figli e i casi, eccezionali, in cui è stato necessario accogliere i bambini e i ragazzi fuori dalla famiglia adottiva. Bisogna considerare comunque che il “fallimento” delle adozioni (quando cioè viene formalizzata la decadenza della potestà genitoriale) ha riguardato negli ultimi anni in Toscana appena uno o due casi dal 2012.

L’obiettivo del lavoro non è comunque quello di quantificare il fenomeno, ma conoscere e comprendere le dinamiche in cui le crisi si verificano, che serviranno poi a elaborare strategie in aiuto alle famiglie. Non ci si è limitati quindi ad approfondire i casi in cui la crisi sfocia nell’uscita definitiva del bambino dalla famiglia ma tutte le situazioni in carico ai servizi sociali (che il Centro Regionale monitora nell’ambito della rilevazione annuale generale sugli interventi sociali per minori e famiglie con la collaborazione di Zone e Società della Salute) di bambini o ragazzi con un’esperienza di adozione nel loro percorso di vita.



E’ bene quindi sottolineare che le considerazioni riportate riguardano un numero molto limitato di situazioni rispetto al potenziale universo di riferimento costituito dalle diverse migliaia (possiamo stimarli in oltre 4.000) di bambini e ragazzi adottati residenti nella nostra regione oggi ancora minorenni.



ALCUNI DATI

Tra i 114 bambini e ragazzi rientrati nello studio, più del 62 per cento sono maschi, in media hanno un’età poco inferiore ai 13 anni, l’86 per cento proviene da adozioni realizzate all’estero. Il 75 per cento delle famiglie ha avuto bisogno di rivolgersi a un neuropsichiatra infantile e i motivi principali della presa in carico dei servizi sono le difficoltà comportamentali (nel 61,9 per cento di casi, che vanno dall’iperattività ai comportamenti aggressivi verso gli altri o verso se stessi), le difficoltà a scuola (che hanno riguardato il 59,3 per cento del campione e che possono essere problemi nello studio delle diverse materie come nella relazioni con compagni o insegnanti), le difficoltà psicologiche (44,2 per cento, dai disturbi dell’umore a quelli del sonno, dall’eccessiva timidezza alla ricerca di attenzione).



Tra le motivazioni della presa in carico da parte dei servizi nel 36, 3 per cento dei casi si è riscontrata una difficoltà nell’instaurarsi del legame genitori-figlio, ci sono poi casi di sospetto maltrattamento del ragazzo o ragazza (11,5 per cento) oppure casi in cui il minore adottato è stato autore di un reato (nel 6,2 per cento).

IL FOCUS

Una riflessione specifica nello studio del Centro regionale è riservata a quei casi in cui si sono palesate le difficoltà nell’instaurare una relazione tra genitori e figli. Si tratta di 41 ragazzi del campione d’indagine, principalmente adolescenti (oltre la metà ha più di 14 anni), 22 sono femmine e 18 maschi, a conferma di quanto osservato in altre ricerche le ragazze adottate sono più in difficoltà dei coetanei maschi nel contesto familiare.



Nella ricerca le situazioni “gravi” che hanno vissuto o stanno vivendo un’esperienza di allontanamento dal nucleo familiare sono 19, un piccolo sottogruppo. Per alcuni di loro l’esperienza fuori dalla famiglia adottiva è intesa come un’esperienza temporanea. Non sono stati registrati casi di fallimento definitivo del percorso adottivo con decadenza della potestà genitoriale.



I TEMPI DELLA PRESA IN CARICO

Le informazioni disponibili ci dicono che molte di queste famiglie si sono rivolte ai servizi sociali in tempi non prossimi alla formalizzazione dell’adozione. In un quarto dei casi il bambino è stato preso in carico nell’anno stesso in cui è stato adottato, nel 10 per cento l’anno successivo, ma il 16 per cento fra il terzo e il quinto anno e il 32 per cento oltre il sesto anno di adozione. Il che suggerisce che le famiglie fossero alla ricerca di una risposta a problemi già emersi piuttosto che in una prospettiva di prevenzione.



LE CONCLUSIONI

Un aspetto che emerge piuttosto chiaramente dall’indagine è l’opportunità di rafforzare un sistema di presa in carico integrata tra servizi e altri soggetti del privato e del privato sociale (Enti accreditati in primis), in una prospettiva di continuità nelle diverse fasi dell’esperienza adottiva. In questa direzione, infatti, sono già orientati gli strumenti di indirizzo regionali di recente varati (le nuove linee guida per supportare le famiglie adottive nelle fasi dell’attesa post adozione e l’accordo di collaborazione tra Regione, Centri per l’adozione e Enti autorizzati all’adozione internazionale), che necessitano ora di azioni significative di implementazione a livello territoriale.



Ultimo aggiornamento: 06/06/2017 - 12:59