Si stima che tra il 20 e il 30 per cento dei ragazzi italiani sia vittima di bullismo (Istat, 2015, Hbsc 2014, Eurispes, 2011). Per affrontare il problema negli ultimi anni sono stati promossi diversi programmi anti-bullismo, ma quali sono stati davvero efficaci? Un rapporto realizzato dall’Istituto degli Innocenti, in collaborazione con l’Università di Firenze, Dipartimento di Scienze dell’Educazione e Psicologia, ha preso in esame i progetti messi in piedi dal 2009 al 2016. La mappatura degli interventi è stata realizzata sulla base di una serie di database scientifici (Scopus e Web of Science), la banca dati dei progetti ex legge 285/97, i database Europei CORDIS, Daphne ed Erasmus Plus e i contatti con i ministeri e le associazioni competenti.

I RISULTATI DELLA RICERCA

Ne è emerso che tutti gli interventi sono stati rivolti sia a maschi che a femmine. Il 40 per cento ha riguardato bambini e adolescenti di età compresa tra 11 e 18 anni. Il 20 cento degli interventi sono rivolti sia ai bambini, che agli adolescenti fino ai 18 anni. Infine, una piccola parte (4 per cento) è indirizzata solo ai bambini di scuola elementare (6-10 anni).



I programmi di intervento sono stati condotti principalmente a scuola (63,5 per cento dei casi) e hanno adottato diverse metodologie, dagli incontri di sensibilizzazione alle attività psico-educative. Solo alcuni dei programmi hanno combinato le diverse componenti e hanno utilizzato materiali e protocolli standardizzati. I genitori sono stati inclusi nel 32 per cento dei progetti, mentre gli insegnanti nel 47 per cento dei casi.



La maggior parte degli interventi è stata condotta in contesti urbani e ha coinvolto poche scuole (non più di dieci) mentre una minoranza è stata condotta su più larga scala: il 4 per cento dei progetti era pensato per più di 20 scuole, il 13 per cento coinvolgeva tra i mille e i tremila bambini e ragazzi. Rispetto alla durata degli interventi, la maggior parte dei progetti esaminati sono stati portati avanti per un periodo di tempo limitato (circa un anno o meno di un anno) e solo una minoranza è stata sistematicamente valutata.



Solo due programmi di intervento (KiVa e Notrap!;) infatti hanno adottato un approccio basato sull’evidenza scientifica e una minoranza è stata condotta su scala nazionale ( GenerazioniConnesse e Una Vita da Social). Dal rapporto risulta che i progetti più efficaci sono quelli che coinvolgono tutti gli alunni e il personale scolastico, incoraggiano gli studenti che assistono al bullismo ad aiutare i coetanei e promuovono l'empatia nei confronti della vittima.

"E' necessario per i futuri progetti prestare una maggiore attenzione all’approccio basato sull’evidenza scientifica e alla valutazione degli interventi - si legge nelle conclusioni del rapporto - ed è opportuno realizzare interventi che coinvolgano la scuola nel suo complesso: la sperimentazione su più larga scala dei modelli e delle componenti di intervento risulta più efficace”.

I PROGETTI ANALIZZATI

Dal monitoraggio svolto risulta che i progetti che sono stati valutati in base a criteri di efficacia sono: Notrap!, ideato e sperimentato dal Laboratorio di Studi Longitudinali in Psicologia dello Sviluppo dell'Università di Firenze, coordinato da Ersilia Menesini; KiVa, basato su dati di ricerca e sviluppato all’Università di Turku, Finlandia, con finanziamenti del Ministero dell’Educazione e della Cultura; Generazioni Connesse, co-finanziata dalla Commissione Europea, coordinato dal Miur; Tabby Trip in Europe, supportato da Daphne UE Programme e promosso dal Miur; M.V.B. Mi voglio bene, progetto socio-educativo nato nel 2011 a Milano dalla collaborazione tra l’associazione Un Naviglio per I Minori e l’Istituto magistrale G. Agnesi. E ancora "ABSAE - Addressing Sexual Bullying across Europe", "School-based expressive writing intervention", "Bulli di Sapone" e "Su la testa".

LA CONFERENZA INTERNAZIONALE

Il rapporto dell'Istituto degli Innocenti è stato presentato alla conferenza internazionale “Understanding Pathways Workshop: Building Theories of Change for Violence Prevention” che si è svolta a Bangkok dal 3 al 7 aprile, coordinata da Unicef in collaborazione con Save the Children che ha visto un’ampia partecipazione di ricercatori e rappresentanti governativi di diversi Paesi tra cui Italia e Serbia per l’area europea, Vietnam, Cambogia, Filippine, Indonesia per l’aria asiatica, Peru e Paraguay per il continente latino-americano e Zimbabwe e Tanzania per il continente africano. La conferenza ha dato avvio alla seconda fase dello studio multipaese sui drivers della violenza all’infanzia condotto per l’Italia dall’Istituto degli Innocenti (Qui il rapporto italiano).

Proprio sulla base dei risultati della prima fase della ricerca la conferenza si è posta l’obiettivo di sviluppare una teoria del cambiamento per la tipologia di violenza prescelta da ogni Paese, bullismo e cyberbullismo nel caso dell’Italia. A conclusione dei lavori di gruppo è stato elaborata una proposta di progetto nazionale per la prevenzione del bullismo e cyberbullismo che vuole “verificare in che modo le norme e gli stereotipi di genere influiscono sui comportamenti di bullismo (in che modo i meccanismi di dominanza sono diversi nei gruppi di ragazzi e ragazze e tra ragazzi e ragazze) e come questi sono collegati alla violenza di genere e alle molestie sessuali anche con riferimento a nuovi fenomeni come il sexting”.











Ultimo aggiornamento: 30/05/2017 - 16:03