E’ il modello pubblico-privato a dominare l’offerta dei servizi per l’infanzia in Toscana. Secondo i dati raccolti nel Rapporto sui servizi e sui costi standard elaborato dall’Istituto degli Innocenti alla fine del 2016, infatti, nel quadro generale dei servizi la componente pubblica “pura” o privata “pura” riveste un peso marginale (rispettivamente pari al 18,8% e al 20,6% del totale). Viceversa è la sinergia tra pubblico e privato a giocare la parte del leone, nelle due articolazioni delle gestione indiretta e del convenzionamento.

GRANDI E PICCOLI COMUNI. I servizi a titolarità privata sono prevalentemente presenti nei comuni più grandi, ma sono in crescita anche nei comuni con meno di 5.000 abitanti, che peraltro rappresentano la maggioranza delle realtà amministrative in Toscana.

PUBBLICO VS PRIVATO. Il dato sembra confermare che l’iniziativa privata si sviluppa come elemento complementare – e non alternativo – all’iniziativa e alla presenza del pubblico. La complementarietà di pubblico e privato emerge chiaramente analizzando le modalità di gestione dei servizi. La componente privata non si esaurisce nelle 516 unità di offerta a titolarità privata, ma interessa anche la gestione di 287 servizi pubblici. Allo stesso tempo la maggioranza dei servizi privati, e per la precisione 312 unità di offerta, contribuisce alla realizzazione dell'offerta pubblica sul territorio attraverso il convenzionamento.

Benché il numero delle unità d’offerta pubbliche sia inferiore rispetto al numero di quelle private, i servizi a titolarità pubblica continuano a registrare una ricettività potenziale maggiore. Tradotto: il numero di bambini che potrebbe essere potenzialmente accolto in servizi a titolarità pubblica in Toscana è maggiore rispetto all’offerta privata.

SERVIZI NON UTILIZZATI. Parlare di “potenziale”, però, è d’obbligo, perché in Toscana continua ad esserci un discreto divario tra il tasso di ricettività e il tasso di accoglienza effettiva. Complessivamente i posti non utilizzati dai servizi educativi rappresentano il 14% della ricettività totale potenzialmente disponibile.

Nonostante l’indicatore dell’accoglienza effettiva sia in crescita, persiste dunque una certa criticità. Le ragioni vanno cercate in almeno un paio d’ordini di cause. Da un lato si conferma la difficoltà dei Comuni a garantire la copertura dei costi di gestione dei servizi, nonché a finanziare rapporti convenzionali con servizi accreditati per ricondurre quote crescenti della loro potenzialità ricettiva all’interno del sistema pubblico. Dall’altra parte, le famiglie, toccate in via crescente dalla crisi, hanno difficoltà a sostenere il peso delle tariffe previste per la frequenza dei servizi, anche nel caso dei servizi comunali o convenzionati.

IL NODO DELLA RETTA. L’8,6% delle famiglie che presenta domanda di iscrizione, infatti, rinuncia all’assegnazione del posto ancor prima che l’anno educativo abbia inizio. Tra il 1° settembre e il 13 dicembre si registra un altro 6,3% di rinunciatari, mentre il 4,3% delle famiglie ritira il bambino dal servizio dopo un periodo limitato di frequenza per problemi nel pagare la retta. Se ne deduce che per ridurre il gap tra ricettività potenziale e accoglienza effettiva il primo passo da fare sia in direzione di un maggior sostegno economico del servizio da parte della pubblica amministrazione.

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Ultimo aggiornamento: 24/01/2019 - 17:43