Mentre le scuole dell’infanzia accolgono, perlopiù gratuitamente, tutti i bambini dai 3 ai 6 anni (per un totale di un milione e 600 mila posti), mediamente solo un bambino su 5 frequenta un nido d’infanzia (uno su 10 nelle regioni del Sud d’Italia), in una condizione in cui il persistente retaggio di “servizio a domanda individuale” impone alle famiglie rette anche superiori ai 300 euro nel caso dei nidi pubblici o convenzionati e spesso superiore ai 500 euro nel caso dei nidi privati, che i gestori non possono abbassare ulteriormente e che le famiglie fanno fatica a pagare tanto che aumentano i casi di rinuncia, dimissioni e morosità.



L’Istituto degli Innocenti fotografa e analizza i dati delle politiche educative per l’infanzia all’indomani del decreto che istituisce in Italia "il sistema di educazione e istruzione dalla nascita fino ai sei anni".



C’è un’offerta di servizi educativi per i bambini sotto i 3 anni da sviluppare in tante parti del Paese, per raggiungere quel livello di diffusione - che anche l’Europa ci chiede da tempo – per arrivare all’accoglienza del 33% dei bambini, non dimenticando che è fondamentale garantire anche la qualità e l’accessibilità dei servizi stessi.



Inoltre, lo sviluppo dei cosiddetti servizi integrativi (gli spazi gioco, i centri per bambini e famiglie e i servizi educativi in contesto domiciliare) non ha contribuito significativamente a incrementare l’offerta, mentre la sperimentazione delle sezioni primavera (per i bambini nel terzo anno) non ha superato una fase di incerta e diseguale diffusione sul territorio.



La scorciatoia, nella maggior parte dei casi, è anticipare l’ingresso nelle scuole dell’infanzia. I bambini “anticipatari” (che compiono i tre anni entro il 30 aprile dell’anno scolastico) sono a oggi quasi 80 mila. Le scuole dell’infanzia hanno così saputo tenere in equilibrio la domanda e l’offerta di posti, ma l’arrivo dei più piccoli non ha portato a nessun adattamento delle strutture, degli arredi e delle attrezzature e nessuna nuova organizzazione (a cominciare dai rapporti numerici insegnanti/bambini o dalle condizioni di funzionalità degli ambienti e dei servizi).



Peraltro dall’ultima indagine dell’Istituto degli Innocenti su un campione di Comuni italiani risulta che i nidi perdono “terreno” ogni anno: oltre il 13 per cento dei bambini che trova posto al nido rinuncia al posto prima di iniziare la frequenza, mentre di quelli che iniziano il 6 per cento si dimette dopo qualche mese, il 10 per cento prosegue senza che la famiglia paghi la retta.



In alcuni casi, soprattutto nel Sud d’Italia, la diffusione degli accessi anticipati alla scuola dell’infanzia serve a venire incontro alla mancanza di nidi, in altre situazioni si tratta solo di “concorrenza sleale” al nido perché per le famiglie la soluzione dell’anticipo non dipende dalla scelta della qualità ma solamente dalla retta più vantaggiosa.



Da queste considerazioni il rapporto dell’Istituto degli Innocenti evidenzia quanto sia necessario passare da "piani straordinari" alla definizione di piani e azioni strutturali per la garanzia di stabilità e di sviluppo dei servizi educativi per l'infanzia. Le prospettive aperte dalla riforma (legge 107/2015), con la complicità del calo demografico, consentono di pensare a strategie per utilizzare in maniera più razionale gli spazi disponibili nelle scuole dell'infanzia per organizzare un'offerta educativa qualificata anche per i bambini sotto i 3 anni.



La riforma degli 0-6 può essere una risposta valida alle esigenze delle famiglie secondo l’Istituto degli Innocenti che suggerisce alcune strategie per rendere i nuovi servizi più efficienti.



Al primo posto la necessità di creare momenti di confronto tra dirigenti scolastici e responsabili comunali dei servizi educativi, tra scuole paritarie e cooperative: “Sperimentare in modo innovativo vuol dire innanzitutto “parlarne insieme” creando e utilizzando situazioni in cui i diversi attori dei servizi all’infanzia si incontrino”.



C’è bisogno di programmare poi un servizio integrato pubblico-privato per garantire gli standard di qualità necessari. Ma quel che è fondamentale, sottolineano i ricercatori dell’Istituto è anche riuscire a far funzionare organismi di coordinamento organizzativo-gestionale e pedagogico a livello territoriale.



Un’ultima considerazione riguarda infine l’accessibilità, intesa come economicità o gratuità della frequenza: “Il tema dell’omogeneità delle forme di accesso e frequenza dei servizi educativi per l’infanzia deve essere considerato come uno dei fondamenti indispensabili per costruire un sistema integrato in cui il diritto dei bambini all’educazione significhi per le famiglie poter contare su una rete di nidi e scuole dell’infanzia di qualità diffusa e accessibile a tutti”.

Ultimo aggiornamento: 12/07/2017 - 16:50