J. J. Russeau, considerato il padre della pedagogia, fece crescere tutti i suoi cinque figli all'ospizio per trovatelli. Galilei costrinse la figlia alla vita monastica, Einstein addiritturà "cancellò" le tracce della prima figlia avuta fuori dal matrimonio, di lei non si seppe più nulla per anni. Chaplin detestava i bambini e fu un padre irascibile e assente, così come Tolstoj. Alessandro Manzoni vide la figlia Matilde solo per dieci minuti.

Sono le storie di "Grandi uomini, piccoli padri" raccontate da Maurizio Quilici in un volume che scardina la comune concezione della grande umanità dei personaggi "geniali", rivelandoli come pessimi genitori, incapaci di dimostrare affetto.

Il libro, edito da Fazi, sarà presentato da Stefano Fabbri venerdì 13 maggio alle ore 18 all'Istituto degli Innocenti. Interviene l'autore, introduce e coordina la presidente dell'Istituto degli Innocenti Alessandra Maggi.

Maurizio Quilici è giornalista, laureato in Giurisprudenza con una tesi sugli effetti della deprivazione paterna, fondatore dell'Istituto di Studi sulla Paternità.

Attraverso le biografie di illustri personaggi di diverse epoche il libro lei affronta il tema della paternità in relazione al genio. Da cosa nasce questo interesse?
Mi occupo di paternità da tantissimi anni, fin dai banchi dell'università. A un certo punto era inevitabile questo incontro perchè il tema del "genio" è un tema che affascina tutti noi. Questa stranezza, questà anormalità, questa patologia secondo alcuni studiosi. Chi è il "genio", dove trova queste sue incredibili risorse? Si nasce geni o si diventa? Questi due interessi si sono incontrati anche se il mio focus principale era e resta la paternità. Vedere se paternità e genialità potevano essere compatibili, magari addirittura una favorita dall' altra o viceversa essere reciprocamente dannose a un certo punto mi ha incuriosito e ho cominciato a approfondire questa connessione.

Dalle storie che racconta sembra che questo binomio non funzioni quasi mai, perchè?
Il genio evidentemente è talmente preso e assorbito da ciò che sta facendo, la sua arte, il suo lavoro, la sua ricerca, che non ha sufficente spazio per certi sentimenti quando questi vanno "oltre". Si ha l'impressione che il genio abbia una soglia al di la della quale non va perchè ne risentirebbe il suo operato, la sua appunto genialità e quindi rifugge il coinvolgimento. Più il sentimento è forte, come per un figlio, una compagna, una donna amata, tanto più si assiste a questo fermarsi o ritrarsi.

Esistono esempi illustri che vanno nella direzione opposta?
Non so se si può parlare di genio ma sicuramente un grande personaggio, Catone il Censore, fu un vero e proprio "mammo" ante litteram. Sappiamo che quando ebbe un figlio cominciò a dare prescrizioni alla moglie su come diveva trattarlo e gestirlo. Non volle istitutore ma volle seguire il figlio in prima persona. Un'attenzione e una cura decisamente anomala per i tempi del "pater familias" più duro e severo. Un'eccezione a noi più vicina è Freud. Nessuno dei figli ebbe mai da ridire sul padre che, pur essendo un padre dell'800, fu un padre affettuoso che amava fare gite e passeggiate con i figli. Un padre anomalo. Ma quando la figlia 27enne, alla quale era attaccatissimo, morì di tisi, tutti rimasero sorpresi dalla tranquillità, dalla apparente carenza di emozioni che Freud mostrò. Se ne rese conto anche lui col passare del tempo tanto che successivamente, con rammarico, spiegò che stava attraversando un momento talmente intenso nella sua riflessione, nei suoi studi per la costruzione della psicanalisi, che qualunque emozione non arrivava a toccarlo in profondità. Come se la sua mente, i suoi sensi fossero talmente assorbiti da non poter manifestare emozioni "altre". Anche lui, un padre normale, ebbe a che fare con questo difetto del genio.

Lei si occupa da sempre di paternità. In che modo e a partire da quando il ruolo del padre si è trasformato?
Direi che l'ultimo atto è stato il Sessantotto, la "rivoluzione paterna" comincia da lì; nulla meglio del padre impersonificava storicamente e psicologicamente l'autorità da contestare. Ci sono dei precedenti storici come la rivoluzione industriale o le due guerre mondiali che hanno portato lontano milioni di uomini, padri e figli, e hanno cambiato i ruoli della donna che restava da sola. La terza fase importante è appunto quella del Sessantotto, della contestazione. Da lì negli anni Settanta è cominciata quella che io definisco "rivoluzione paterna" perchè i padri di oggi hanno delle connotazioni che nella storia precedente non hanno mai avuto. Alludo ad esempio alla fisicità nei confronti dei figli che è una scoperta del tutto moderna. I padri oggi hanno un contatto immediato alla nascita ma addirittura prima. La media nazionale dei padri che assitono al parto fino a qualche anno fa era del 92%. Solo chi ha conosciuto le fasi precedenti può capire che razza di rivoluzione sia. Il momento della nascita prima era tabù. Il padre scompariva per alcuni anni, fino a quando i bambini non erano quantomeno in grado di parlare; allora, soprattutto col maschio cominciava ad avere un rapporto. Oggi i giovani padri stabiliscono da subito un'empatia, un contatto. Soprattutto i padri di oggi hanno la possibilità di esprimere tenerezza senza che per questo ne debba risentire la loro immagine di virilità. Certo come in tutte le grandi rivoluzioni storiche e sociali da una parte si è guadagnato dall'altra si è perso qualcosa. I padri hanno guadagnato in affettività e in vicinanza con i figli, perdendo in autorevolezza. Il padre normativo non c'è quasi più. Una sfida per il futuro sarà quella di tentare di conciliare gli effetti di questa rivoluzione con il recupero di quella importante funzione di "controllo" del padre. Ben venga l'elasticità dei ruoi ma no al "mammo" o al padre amico. Il padre deve comprendere ma non diventare complice. I figli non hanno bisogno di un altro pari ma di una figura che offra contenimento e regole, questo lo richiedono i meccanismi più profondi del bambino prima e dell'adolescente poi. (fc)

Ultimo aggiornamento: 22/11/2018 - 16:35