Il seminario del Progetto Nazionale RSC ospitato nella Sala Brunelleschi dell'Istituto

Il seminario del Progetto Nazionale RSC ospitato nella Sala Brunelleschi dell'Istituto

Nel primo anno, il 2013/2014, le bambine e i bambini coinvolti erano 153. Nell’ultimo, che si è chiuso nel giugno scorso, 659, ossia più del triplo. Le classi, invece, sono aumentate addirittura di sette volte passando da 47 a 401. Leggermente meno marcato l’incremento delle scuole coinvolte, che rimane comunque molto significativo, dato che sono più che triplicate (da 29 a 112). Basterebbero anche questi dati per dare conto dei progressi del Progetto nazionale per l’inclusione dei bambini rom, sinti e caminanti (RSC), promosso dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (in collaborazione con quelli di Istruzione e Salute), dal 2017 realizzato nell’ambito del Pon Inclusione e che coinvolge 13 città metropolitane lungo tutto lo Stivale (da Torino a Palermo passando per Bari, Bologna, Cagliari, Firenze, Genova, Messina, Milano, Napoli, Reggio Calabria, Roma e Venezia). Ma il seminario nazionale 2022, realizzato con il supporto dell’Istituto degli Innocenti cui è affidata l’assistenza tecnica e scientifica del progetto e ospitato a Firenze martedì 11 e mercoledì 12 ottobre nelle sale della sede di piazza Santissima Annunziata, ha offerto molti spunti anche per un’analisi d’impatto delle molteplici attività previste e della loro capacità di raggiungere o avvicinarsi agli obiettivi di un progetto che si propone l’integrazione e il contrasto della dispersione scolastica e il successo formativo delle bambine e bambini rom e sinti.

Oltre la pandemia: frequenza e promozioni scolastica in risalita

A partire dalle relazioni di Francesco Chezzi ed Enrico Bartolini, ricercatori dell’Istituto degli Innocenti e parte dell’equipe tecnica e scientifica del Progetto, che hanno aperto i lavori del seminario, coordinato dalla dottoressa Donata Bianchi (Istituto degli Innocenti) dopo i saluti istituzionali di Renato Sampogna (dirigente divisione IV del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) Andrea Santilli (Ministero dell’Istruzione) e Emanuele Caredda (Ministero della Salute). Due interventi da cui è emerso, in primo luogo come, dopo il primo anno della pandemia che ha avuto una ricaduta molto pesante su tutto il mondo della scuola e in particolare sugli studenti provenienti da contesti più fragili, la frequenza scolastica delle bambine e bambini inclusi nel progetto sia tornata a crescere: alle Primarie è salita al 66%, otto punti in più rispetto al 2020/21 (quando si era fermata al 58%) mentre alle Secondarie di Primo Grado è passata dal 49% al 56% (+7% in dodici mesi). L’aumento ha riguardato anche il rendimento scolastico visto che è tornata a crescere anche l’incidenza delle promozioni, in misura più significativa alle Primarie, e più modesta alle Secondarie di Primo Grado.

Tassi di frequenza più alti per chi ha frequentato la scuola dell’infanzia e per chi vive in appartamento

Illuminanti al riguardo le considerazioni sul rapporto fra frequenza attuale e l’aver fatto precedente esperienza nella scuola dell’infanzia: in media, infatti, i tassi di frequenza di chi ha frequentato quest’ultima sono più alti rispetto a chi non ha avuto questa possibilità sia alle Primarie (73% contro 67%) che soprattutto alle Secondarie di Primo Grado (67% contro 54%). Dai dati relativi del Progetto Nazionale RSC emerge un collegamento ancora più marcato fra frequenza scolastica e condizione abitativa: tra le bambine e i bambini che vivono in appartamento o in un alloggio di edilizia residenziale pubblica, infatti, i tassi di frequenza sono del 73% alle Primarie e del 62% alle Secondarie di Primo Grado contro, rispettivamente, il 50 e il 44% di coloro i cui nuclei familiari abitano in terreni di proprietà o in campi (siano essi autorizzati o meno).

L’effetto di lungo periodo del programma RSC: un ponte fra scuola e comunità rom e sinti

Al netto di tutte le necessarie e opportune distinzioni, soprattutto per orientare gli sviluppi futuri, la capacità del Progetto Nazionale di avvicinare il mondo della scuola alle comunità rom e sinti emerge in modo nitido se si guarda alla frequenza scolastica in relazione agli anni di inclusione nel progetto: sia alle Primarie che alle Secondarie di Primo Grado più tale periodo è lungo, maggiore è il tasso di frequenza che arriva, rispettivamente, al 76% nelle prime per coloro che sono seguiti da almeno cinque anni e al 77% nelle seconde per chi è parte del progetto da sei, partendo da frequenze spesso tra il 30% e il 40%. L’impatto, pertanto, è significativo, ma va sostenuto attraverso un coinvolgimento continuativo e duraturo degli alunni e delle famiglie nel Progetto.

La povertà di bambini e adolescenti in Italia e le sfide per il mondo della scuola

Il Progetto nazionale RSC, assume un rilievo particolare anche alla luce dei crescenti processi d’impoverimento che riguardano tutta la popolazione italiana e in modo particolare quella degli under 18, come ha sottolineato nel suo intervento Enrico Moretti dell’Istituto degli Innocenti. Dal 2005 al 2021, infatti, gli italiani in condizione di povertà assoluta, complessivamente, sono passati dal 3% a quasi i, 9%, un incremento che è stato trainato soprattutto dall’aumento della povertà minorile, salita dal 4% a oltre il 14%. Uno scenario del genere impatta anche sul mondo della scuola chiamato a confrontarsi con sei sfide d’importanza centrale, evidenziate dall’intervento di Maria Teresa Tagliaventi, componente del Comitato tecnico scientifico del Progetto e docente all’Università di Bologna: la “riappropriazione delle funzioni proprie della scuola, la lotta alle disuguaglianze e la valorizzazione delle differenze, la costruzione dell’alleanza educativa con i genitori e il rapporto con il territorio. In ultima analisi, dunque, “l’essere scuola di tutti e di ciascuno” che, con riferimento al Progetto Nazionale si traduce nella “sfida di trasformare la presenza dei bambini rom e sinti nelle nostre scuole da problema a risorsa”.

Mariella Mehr e l’esplorazione dell’identità delle comunità rom e sinti

L’esplorazione dell’identità e il doppio pregiudizio in una prospettiva anche di genere è stato, invece, il filo conduttore della giornata di mercoledì 12 ottobre, condotta con il coinvolgimento di ricercatrici, esperte e operatrici appartenenti alle comunità rom e sinti e componenti del Comitato scientifico o dell’assistenza tecnica del Progetto Nazionale (Eva Rizzin, Suzanna Jovanovic, Nancy Bogdan e Senada Ramovski oltre a Luca Bravi). A partire dalla vicenda di Mariella Mehr, rom Jenish, considerata la più grande scrittrice svizzera di lingua tedesca, scomparsa ad inizio settembre. La sua è anche la storia di una ribellione riuscita: al Hilfswerk fur die Kinder der Landstrasse, l’Opera di soccorso per i bambini di strada, una denominazione dall’apparenza accogliente per quello che, anche grazie allo lotta e all’impegno della Mehr, è ormai considerato uno dei più tragici progetti di discriminazione di una minoranza. “A 6 anni fu tolta a sua madre, che venne sterilizzata, e affidata a una famiglia affidataria” ha ricordato Suzanna Jovanovic nell’intervento che ha aperto la seconda giornata del seminario nazionale dopo la performance artistica di Luna De Rosa, artista multimediale e attivista romnì. E il peggio doveva ancora venire: a 9 anni fu mandata in un istituto psichiatrico e “curata” con gli elettroshock; a 18 sterilizzata, dopo aver avuto un figlio che le fu tolto. Una storia drammatica, simile a quella di molte donne rom e sinti, “perché in Svizzera, Svezia, Danimarca e in molti altri Paesi considerati civili - ha proseguito Jovanovic - le donne “zingare” sono state sterilizzate fino al ‘79”. La storia di Mariella Mehr, però, parla alle donne delle comunità rom e sinti anche e soprattutto per quel che è accaduto dopo: “Si è ribellata, insieme alle altre donne Jenish che hanno subito lo stesso destino, e hanno ottenuto la fine delle sterilizzazioni e le scuse ufficiali dello Stato svizzero”.

I progetti come opportunità solo se si realizzano nel contesto familiare

Jovanovic invita a riflettere poi sul concetto di “progetto” e quanto sia importante la collaborazione e la co-progettazione tra le famiglie e tutte le figure impegnate nei percorsi di inclusione locali, per comprendere realmente “se il bene promosso dall’intervento sia considerato tale anche da chi ne è destinatario”. Da qui una prima conclusione che, almeno il Progetto Nazionale RSC, ha fatto propria sin dall’inizio: “Il progetto è un’opportunità per le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, solo se si realizza nel contesto familiare”. Altrimenti, il rischio è “lo sradicamento e le conseguenze possono essere devastanti”.

Le donne rom e sinte viste da quelle gagè

Nella società, però, permangono i processi di steoritipizzazione e stigmatizzazione delle comunità rom e sinti e delle donne che in esse vivono, entrambe vittime di processi di razzializzazione (espressione di una cultura inaccettabile e incivile), deumanizzazione (negazione di capacità genitoriale e lavorativa) e naturalizzazione dell’inferiorizzazione che attribuisce a rom e sinti una scarsa razionalità (incapacità di controllare sessualità e nascite e rifiuto della scolarizzazione). Sono stereotipi che condizionano pure il modo in cui le donne gagè (non appartenenti alle comunità rom e sinte) guardano a quelle “zingare”: anche “in una prospettiva femminista di emancipazione della donna – ha sottolineato Jovanovic – l’idea di base è che le donne rom abbiano bisogno di cultura per civilizzarsi ed emanciparsi: d’imparare a prendersi cura della propria salute, a controllare le gravidanze, di apprendere norme igieniche e alimentari e a pretendere il rispetto di sé”.

All’interno delle comunità la rivoluzione di genere è già iniziata da tempo

Dando voce alle donne delle comunità rom e sinti, però, la prospettiva cambia: all’interno delle comunità, le donne rom e sinte hanno già da tempo iniziato la loro rivoluzione di genere, ottenendo buoni risultati, ma è sul fronte esterno che esse sono ancora deboli a causa della forte discriminazione etnico culturale che c’è verso la cultura rom e sinta.

Diritto alla salute, due cortometraggi animati

Il seminario è stato anche l’occasione per presentare i due cortometraggi animati di orientamento sanitario realizzati a partire dalla cornice di riferimento di ForMap, il quaderno realizzato nel 2020 dal Progetto Nazionale per aiutare operatrici e operatori dell’area educativa e sociale e insegnanti delle scuole primaria e secondaria di primo grado a promuovere azioni di orientamento alla salute per le popolazioni RSC in condizione di marginalità. Il primo video è rivolto alle bambine e bambini della scuola primaria e si propone di trasmettere messaggi di educazione alla salute, in particolare con riferimento alla prevenzione delle malattie infettive tramite comportamenti responsabili; il secondo, invece, è rivolto alle giovani donne e intende promuovere la salute della mamma e del bambino fin dal concepimento.

Ultimo aggiornamento: 20/10/2022 - 16:41