Le professioni di cura non sono un territorio solo femminile. E lo dimostrano le storie, le esperienze e le passioni di nove uomini impegnati come educatori, assistenti sociali e psicologi, raccontate nelle video interviste raccolte dall’Istituto degli Innocenti nell’ambito del progetto europeo Boys in Care.

Le interviste hanno coinvolto in particolare educatori professionisti che lavorano nell'educazione della prima infanzia e nei servizi di cura, nelle strutture sanitarie e scolastiche; assistenti sociali impegnati nel sostegno a bambini, famiglie e migranti; psicologi che lavorano in un centro di ascolto per uomini autori di violenza.

Tutti, nessuno escluso, hanno spiegato alle telecamere che se fossero tornati indietro nel tempo avrebbero di nuovo scelto il loro lavoro. Contro tutti gli stereotipi che ancora oggi tengono lontani i ragazzi dalle professioni di cura, tradizionalmente affidate alle donne. E i racconti delle loro esperienze servono a far capire il valore dei mestieri basati sull’empatia e sulle relazioni umane: un valore legato principalmente a una crescita continua e ad un arricchimento personale.

Lo spiega bene Paolo Allegranzi, educatore storico all’Istituto degli Innocenti (che lavora nei servizi per la prima infanzia dal 1990) quando parla, con emozione, del suo mestiere a contatto con i bambini: “Io posso dire di essere cresciuto con loro – aggiunge - Dai bambini ho imparato un sacco di cose”.

Un’esperienza che sta provando anche Jacopo Reali, impiegato dal 2007 come educatore al nido Biglia dell’Istituto degli Innocenti tramite la Cooperativa sociale Arca, e che si rivolge ai ragazzi che sono disposti a intraprendere questo percorso: “Fate questo lavoro perché vi cambia dentro”. Jacopo ricorda gli aneddoti raccolti nel corso del suo lavoro, di quella volta ad esempio che si tagliò i capelli e un bimbo lo prese per mano, “per andare insieme a cercare i suoi capelli”.

Rivela che all’inizio, lavorare in un ambiente quasi completamente femminile, non è stato facile, ha incontrato alcuni ostacoli, da parte di genitori ed educatrici, muri che con gli anni sono stati abbattuti, “perché negli ultimi anni la situazione è molto migliorata – e aggiunge - I bambini non vedono il maschio o la femmina che hanno davanti, vedono la persona e aiutarli a crescere è bellissimo”.

Daniele Maltoni, assistente sociale, responsabile del Servizio Marginalità e Immigrazione del Comune di Firenze racconta che “di storie belle ce ne sono”, raccolte nel corso del suo lavoro e conservate tra i ricordi più cari. Spiega che la scelta di questo lavoro, fatta quando aveva 17 anni, gli ha permesso di entrare in contatto con persone di diverse estrazioni sociale e con problematiche di moltissimi tipi, “che mi hanno fatto crescere molto più di come avrei potuto crescere se non le avessi conosciute”.

Il motivo della crescita personale ritorna spesso nelle parole degli intervistati: “La relazione con i ragazzi è molto stimolante, divertente. È una crescita reciproca, ci si aiuta a vicenda”, dice Edoardo Mughini, educatore e psicologo dell’età evolutiva.

Molti degli uomini che hanno scelto una professione di cura vengono da una precedente esperienza nelle associazioni di volontariato, come Carlo Battaglia, educatore professionale che si è avvicinato al mestiere, che svolge da 30 anni, passando dal mondo scout: “Prendersi cura degli altri è anche un po’ prendersi cura di se stessi”, commenta.

In alcuni ambienti anche se tradizionalmente femminili la presenza degli uomini è importante e necessaria secondo Benedetto Madonia, assistente sociale della municipalità di Firenze: “Dare la possibilità a uomini, a ragazzi, di sviluppare capacità di ascolto, di poter vivere appieno l’ambito della cura secondo me apre strade, sprigiona potenziali molto belli - dice – Non esistono lavori ‘da femminucce’, da donne o da uomini e spero che i ragazzi che oggi hanno 15, 16 anni si liberino da queste gabbie.”

Gabbie che fanno male, come tutti gli stereotipi, che possono portare a conseguenze gravi, non ultimi, a volte, gli atti di violenza, come spiegano Rossano Bisciglia e Mario de Maglie, psicologi che lavorano al Centro di ascolto per Uomini maltrattanti a Firenze. Il loro invito a intraprendere questa professione è rivolta a ragazzi interessati alle relazioni umane, a chi è dotato “di una buona capacità di ascolto e ha voglia di mettersi in discussione”.

Benjamin Robson di Lullo è il più giovane degli intervistati, studente del corso di Educazione professionale, racconta di quella volta che una sua professoressa lo scoraggiò dall’intraprendere un percorso di studi in ambito educativo: “Tu butti via le tue competenze scientifiche, il tuo talento”. Un’esperienza comune a molti, per contrastare la quale il progetto Boys in Care prevede la realizzazione di corsi di formazione rivolti a insegnanti e formatori professionali.

Ultimo aggiornamento: 19/12/2021 - 14:21